vendredi 26 mars 2010

LA NATURA, L'INGANNO, LA PESTE, LE MEDITAZIONI DI UN POETA

Andrea ZANZOTTO - Repubblica — 07 dicembre 2009 pagina 41 sezione: CULTURA

PIEVE DI SOLIGO (Treviso) Questo breve viaggio volto a suggerire un "lessico necessario" utile ad affrontare i nostri giorni confusi e concitati, si conclude incontrando un poeta: ovvero chi ricerca la massima precisione della lingua, in ogni sfumatura, sonorità, dettaglio. A un poeta dunque, l'ultima parola. E tra i poeti la scelta non poteva cadere che su Andrea Zanzotto: un indiscusso maestro, oltre che un amico. Era più di un anno che non venivo a trovarlo nella sua casa di Pieve di Soligo. E con grande gioia lo ritrovo in buona salute, fisica e mentale. Ha appena compiuto ottantotto anni e il suo volto si è fatto simile allo schizzo di un pittore: il naso rapace è ancora più rapace. Le labbra si sono ulteriormente affilate. Gli occhi sono diventati due fessure da cui traspare una luce maliziosa, che guarda lontano. Sempre più lontano. Sulla testa, infine, l' immancabile "bareta", questa volta di color rosso cardinale. La nostra conversazione parte dal suo recentissimo libro di versi, Conglomerati (Mondadori), che riconferma tutta la sua grandezza. E ci invita a riflettere sulla forza diagnostica di una forma espressiva, la poesia, che proprio nel tenace balbettio pare acquisire un peso nuovo e imprevedibile. Tanto più, di fronte al ciarliero collasso di un discorso pubblico affannato e incapace di afferrare il turbinoso fluire delle cose. Dunque, Zanzotto, da quale parola cominciamo? «La prima che vorrei suggerire è proprio "conglomerati". L' ho scelta come titolo del libro dopo vari tentennamenti e la vorrei riproporre qui perché segnala un indispensabile contatto con la "terra", parola ad essa intimamente collegata. Amo molto, ancora oggi, fare dei giri qui intorno a casa mia. In particolare in un' area, a tre o quattro chilometri dal centro del paese, dove c' è un insieme di colline che non sono colline e di torrenti che non sono torrenti: un tenebroso e inquietante labirinto, appunto, di conglomerati pietrosi; le crode del Pedré. Ebbene, se sono tornato a parlare di questo posto, dove si andava in gita scolastica quando ero bambino,è perché in quel luogo fisico c'è una volontà di resistere, anche se contraddetta da pulsazioni opposte e oscure, che è omologa alla terra e all' uomo. Il che mi riconferma nella convinzione che nel mio caso le principali suggestioni derivano dalla geologia, prima che dalla storia; e dalla scienza, prima che dalla letteratura». Da quanto dice sembrerebbe che una linea poetica cominciata con "Dietro il paesaggio", che è del 1951, non si sia mai interrotta. Malgrado tutto è proprio nella "magna mater", nella grande madre, che possiamo e dobbiamo cercare conforto. Anche quando il suo volto appare, come in queste ultime poesie, sfigurato da «sfondamenti di orizzonti», «funebri viali di future "imprese"», «grulle gru», «cento capannoni puzzolenti». «E' proprio così. Anche se calpestato, squartato, tumefatto, ustionato, ulcerato, il "paesaggio" esercita ancora un continuo richiamo. Attraverso il fischio di anonimi uccelletti o grazie a venti improvvisi e furiosi. Sempre e comunque, il paesaggio, nella sua duplice veste di incanto e gabbia, induce quel sentimento di immanità che percorre strade tutte sue. A volte ce lo indica ammutolendo, altre invece cantando in modo anche stonato. Non per caso, nelle mie poesie più recenti, la stonatura è sempre in agguato. Voluta e non voluta». Senza nominarla esplicitamente, abbiamo indicato così la terza parola: "paesaggio". Che introduce, mi par di capire, a una sorta di religione della natura. «Religione della natura che in me si accompagna, almeno a tratti, a vere e proprie meditazioni teologiche. E a mille impulsi, i più diversi e contrastanti. Perché come qualunque altro individuo, anch'io riconosco che tutto ciò che è umano mi riguarda». La parola "paesaggio" si porta appresso, inevitabilmente, la parola "clima". E su questo fronte, anche i più recenti incontri internazionali dimostrano come le più funeree previsioni non producano mai scelte politiche conseguenti. «Può essere, molto semplicemente, che non si voglia credere alla catastrofe, già ampiamente provata, perché è più comodo ingannarsi, illudersi. Oggi sembrano tutti sopraffatti dal fascino dell' autoinganno. E finiscono per voler lucrare anche sul proprio funerale». E' anche per questo che di recente lei utilizza sempre più spesso la parola "peste"? «Nella vita quotidiana a un bambino un po' inquieto si dice: "sei una peste". Senza che lui neanche capisca a cosa si sta alludendo. Anche a me questa parola è uscita di bocca così, con leggerezza, quando l' ho utilizzata riferendomi alla Lega. Pensavo alla figura di un bambolo un po' tonto. Invece i leghisti l' hanno presa sul serio, e cioè in modo drammatico. Ma è un bene che le parole vengano, spiazzate, che il senso si mobiliti, e di un vocabolo escano fuori significati che abitualmente restano impliciti, sotto traccia. In fin dei conti, è una delle gioie più tipiche della poesia». E nel caso specifico, qual era l' elemento implicito della parola "peste" che è saltato fuori all' improvviso? «Penso ad esempio al comportamento assurdo di chi vorrebbe imporre l' insegnamento scolastico del dialetto, che si può apprendere solo in famiglia, nell' infanzia, e poi se ne infischia della totale distruzione dei luoghi in cui quella lingua materna trova l' indispensabile nutrimento. Ma cosa ci si può aspettare da chi vaneggia di dialetto e nulla sa di storia e filologia romanza?». Mi permetto di suggerire io l' ultima parola: "poesia". Perché proprio quel suo verseggiare tambureggiante e allarmato, quel tentativo di cogliere per frammenti qualche barlume di senso, mi ha indotto a pensare che forse la poesia finisce per assumere una nuova centralità, del tutto inaspettata. «Sì, finiamo con "poesia". Proprio da lì, dal "fiat" della poesia, si potrebbe e dovrebbe ripartire. Dalla sua costitutiva povertà e semplicità. Ma si tratta di farlo con modestia e assieme con tenacia. Ascoltando innanzitutto la potenza del genius loci. Almeno, questo è quanto io ho sempre fatto. Non per caso non mi sono mai potuto allontanare più di tanto dal mio paesello, perché senza il canto dialettale di osteria si produceva in me un veroe proprio blocco della creatività. E così si torna all' inizio della nostra conversazione: a quei "conglomerati" di cui parlavo in precedenza. La poesia, molto umilmente, deve "raspar su" tutti i materiali che trova a disposizione. I più inusitati, i più eterogenei. A partire da quelli che salgono dall' inconscio, da quella forza interiore inarrestabile e incontrollabile che poi si trascina appresso il carretto dei versi. Ricordo, ad esempio, che quando Dario Fo vinse il Nobel, mi dissi: bene così, in fondo Fo è un signore che ha creato dei valori letterari. Ma subito dopo l' inconscio decise al posto mio e fece affiorare un epigramma che non ho potuto fermare: "Di Fo che me ne fo. Fo fu". E' stato il puro impulso della sillaba a generare quell' epigramma».

- 4. Fine (le precedenti puntate di "Lessico necessario" sono apparse il 28/10, il 5/11 e il 19/11) - FRANCO MARCOALDI

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vendredi 12 mars 2010

Vincenzo D’Alessio & G.C.F.Guarini


IL FUTURO CHE è IN NOI
Ci siamo incontrati mercoledì dieci marzo, di quest’anno, con gli scolari della terza sezione B della scuola statale” Madre Teresa di Calcutta” ,di Montoro Inferiore, previo autorizzazione della dirigente scolastica prof. Stella NADDEO, in collaborazione con la maestra Albina CARPENTIERI e l’ entusiasmo dei ragazzi. Il Gruppo Culturale “F:Guarini” opera nelle scuole statali, nei diversi gradi, già dalla sua fondazione nel 1976. Molto di più ha realizzato, in passato, con i ragazzi delle scuole elementari e medie.
Il programma realizzato verte sulla conoscenza archeologica del territorio: il nostro Sud ha un patrimonio archeostorico incommensurabile, che ogni anno perde gran parte delle sue tessere. Perché il continuo sfruttamento territoriale con la costruzione di case, villette, palazzi, megacentri commerciali,fabbriche, strade,etc. depreda il territorio dei suoi tesori, anche se piccoli. Infatti durante gli scavi vengono ritrovate testimonianze archeologiche appartenenti alla Preistoria e alla Storia delle nostre popolazioni, che per mancanza di segnalazione sono destinate nelle discariche.
Al fine di appassionare i giovani, dalle scuole dell’obbligo a quelle superiori, dal 1979 il Gruppo Guarini ha elaborato visite giudate, contatti con l’ambiente e i monumenti, cura della memoria con l’istituzione dell’Antiquarium di Solofra(distrutto dal sisma del 23.11.1980), del piccolo Antiquarium presso la scuola elementare di via Fratta a Solofra(anno scolastico 1991-1992), con pubblicazioni, e corsi pedagogici tenuti da un esperto in collaborazione con gli insegnanti interessati.
Ad ogni incontro i giovani scolari facevano il confronto tra i reperti, messi a loro disposizione e manipolazione, e le trasmissioni televisive come” Superquark” e “Passaggio a Nord-Ovest”.Questa volta però non si trattava di luoghi lontani ma dello stesso territorio dove essi vivono o prossimo al loro. Tanto ha reso, nel corso degli anni, sempre più vivo e stimolante il rapporto tra futuro cittadino e patrimonio archeostorico di appartenenza.
Siamo convinti che questa sia la strada maestra da seguire affinché nascano più forti gli interessi dei giovani al loro futuro e al futuro della loro Terra.